A PROPOSITO DI CREATIVITÀ
IMPARARE A VEDERE
Pensiamo che siano da imparare solo le cose che si fanno: scrivere, leggere, far di conto, e così via.
Non pensiamo mai che si possa imparare anche ciò che ci sembra di vivere passivamente: pensiamo che perché udiamo sappiamo anche ascoltare, o perché abbiamo la vista sappiamo vedere, che con la bocca sappiamo gustare…
Tante esperienze i dicono che non è così: io ho imparato ad ascoltare un certo tipo di musica grazie a chi me l’ha fatta comprendere, accompagnandomi in un ascolto più raffinato, a vedere le forme, perché sono stata sottoposta da parte di mio padre ad un prolungato allenamento a percepirle, leggerle e soprattutto a gustarle.
L’esperienza di proporre Filosìn mostra come si possa cominciare a vedere e riconoscere le forme, le loro relazioni e i significati che rivestono per noi. Impariamo a decodificare un linguaggio, quello delle nostre immagini interiori che si materializzano sul foglio, un linguaggio che è a più dimensioni, mobile e dai molteplici significati.
Questo vedere ci fa entrare in un mondo denso e ricco di infinite possibilità. E’ un vedere più in là, o più a fondo, è scoprire che la realtà non è così piatta, che siamo immersi in un universo prezioso, da scoprire continuamente.
L’ARTE
PROSEGUE
L’arte prosegue. Se lo vogliamo, se non ci limitiamo a guardare frettolosamente, lasciandoci prendere dalle impressioni più immediate. E se intrapprendiamo, insieme all’opera, un piccolo viaggio.
Un viaggio che può durare anche solo cinque minuti: ci soffermiamo a guardare, entriamo in relazione con l’opera, entriamo dentro al suo mondo, alle sue forze, ai suoi movimenti interni. E questa è una bella pratica, che “apre” l’opera al nostro sguardo, facendoci scoprire inattesi tesori. A volte si fa, in alcuni gruppi, e si chiama Slow Art.
Ma è anche un viaggio che può durare una vita, se quell’opera ci offre la possibilità di muoverla a nostro piacimento, girandola in un senso o nell’altro. I diversi punti di vista offrono allo sguardo direzioni coraggiose, o soste rigeneranti, o conforto per le ferite… Riconoscendo quando l’opera “mi piace così” stiamo affermando uno stato o un movimento interno che trova una felice corrispondenza esterna, una espressione di qualcosa che abbiamo dentro ed esprimiamo più facilmente attraverso un’immagine che con le parole.
E l’arte prosegue sempre, perché questo è uno degli aspetti che misteriosamente vi si condensano. E’ un vero peccato considerare le opere d’arte come decorazioni, perché così sprechiamo le loro potenzialità, che sono enormi. Scoprire modi di “far proseguire l’arte” ci fa scoprire non solo cosa ha da offrirci, ma anche e soprattutto le nostre capacità di dare significato, sapore e intensità alla nostra vita.
In questo senso Filosìn è un modo di far proseguire l’arte: creando composizioni che diventano sempre più artistiche – perché sono sempre più generate dalla parte più profonda di noi, quella che sa – entriamo nel processo dell’arte, in quel fare che corrisponde sempre più all’essere. Non abbiamo allora più bisogno di chiederci che cosa vogliamo esprimere, cosa mostrare. Ci affidiamo ad un flusso che muove le mani, dirige lo sguardo, ci fa dire con sicurezza “questo sì, questo no” anche se non ne sappiamo le ragioni, e non c’è scelta, c’è un “è così” morbido e deciso insieme. Percorriamo una strada e arriviamo da qualche parte, la vediamo “fuori” e sentiamo che è “dentro”.
E poiché diamo anche voce alle composizioni che creiamo, le facciamo proseguire ancora. A volte ne nasce pura poesia, altre chiarezza di visione, e racconti intriganti…
Alla fine, ci arrendiamo felicemente al fatto che l’arte è generativa, che da essa e attraverso di essa si generano, all’infinito, nuovi mondi, e nuove esperienze, e riflessioni, e sentimenti, e consapevolezze. E metteteci quello che volete, senza l’arte la vita è più povera.
Perché
Perché devo muovere le mani, e non mi basta colorare, ma devo toccare, manipolare, disporre… e poi premere per l’incollaggio, ma anche trattare con delicatezza stoffe, pizzi e carta. Questo richiede mani che vogliano e sappiano confrontarsi con la materia; le mie composizioni sono esperienza di contatto consapevole con la materia.
…perché amo comporre, più che dipingere, oso affidarmi alla guida del gesto e dello sguardo. Le mani dettano ed io seguo il loro movimento. Inizialmente il lavoro è tutto loro: tra materiali e sensazioni tattili delle mani si stabilisce un rapporto intimo. Poi, entra in gioco lo sguardo che sceglie. Alla fine, arriva la mente. La forma genera il pensiero: il concetto nasce dall’ascolto della forma che a sua volta è nata dall’ascolto dell’istinto delle mani in relazione con la materia
…perché la creazione è una forma di ascolto profondo e allora non posso progettare. Rinunciare ad una progettualità aprioristica significa riconoscere ed affermare il significato ed il senso di ciò che si realizza: ogni opera è un essere con una sua intenzionalità, vuole dire qualcosa senza dire, una forma-pensiero che si manifesta e si dispiega nella materia, oltre me.
…perché ho bisogno di far incontrare, di mettere a confronto materiali diversi. Ricerca di armonia tramite contrasto, tramite conflitto: la convivenza di diversi è la vita stessa, fuori e dentro di noi.
Funzione auto-terapeutica dell’arte, permetterci di apprezzare, gustare vicinanze e relazioni interessanti.
…perché riutilizzare materiali che hanno già una loro storia – al di là del semplice riciclo – e farlo collocandoli in un nuovo ambito significante è un atto di profondo riconoscimento e gratitudine: verso il femminile, verso l’umile, verso quel passato che permette nuovi futuri…